Il
ritorno alle gare e alla vittoria del marciatore coinvolto in un
progetto guidato dal professor Donati, uno dei più grandi nemici del
doping
Alex taglia il traguardo, è primo nella 50 km di Coppa del Mondo |
@LucianoMurgia
Fino
a poche ore prima, attorno a lui, esclusi i familiari e gli amici
veri, c'era il vuoto. Poi il vuoto l'ha fatto alle sue spalle...
Alex solo al comando, alle sue spalle il... vuoto |
Una
giornata così l'attendeva dall'11 agosto 2012, quando doveva
marciare lungo il Mall, davanti a Buckingham Palace. Londra 2012,
l'Olimpiade organizzata magistralmente da Sebastian Coe, oggi
presidente della Iaaf (International Association of Athletics
Federations), era il suo obiettivo. Nei Giochi Olimpici inglesi
voleva ribadire la superiorità mostrata quattro anni prima, a
Pechino, dove aveva vinto la medaglia d'oro nella 50 chilometri. Fu
fermato per doping lunedì 6 agosto. Uno choc, un dolore immenso per
chi lo aveva seguito con stima, ammirazione, affetto. Una caduta,
anzi un ko da cui sembrava impossibile riprendersi/ci.
Alex
Schwazer è riuscito nell'impresa.
Le
lacrime di dolore spese quel lunedì 6 agosto 2012 sono diventate
lacrime di gioia alle ore 12,39 e qualche secondo di domenica 8
maggio 2016, quando Alex ha vinto la Coppa del Mondo di marcia,
camminando per 3 ore e 39 minuti. Se non avesse rallentato,
gustandosi il trionfo nello stadio delle Terme di Caracalla, sarebbe
sceso sotto i 3 e 39, che sembrava un limite impossibile per un
atleta reduce da 3 anni e 9 mesi di squalifica, scaduta lo scorso 29
aprile, quindi senza gare, d'attività agonistica. Solo alcune prove,
non di più, in mezzo alla strada, tra gente che cammina, pedala, va
in moto o in auto.
Ci
è riuscito grazie al suo talento, soprattutto al lavoro fantastico
di un gruppo davvero unico, diretto dal professor Sandro Donati, il
numero uno nella lotta al doping, colui che quattro anni prima
l'aveva denunciato, sbarrandogli la strada verso Londra.
L'abbraccio tra Alex e il professor Donati racconta la storia meglio d'ogni parola |
In
questi lunghi anni, Alex aveva chiuso con l'atletica, tornando a
studiare, facendo il cameriere. Poi un messaggio, un sms, inviato a
Donati, fra lo scetticismo di chi, buon conoscitore del professore,
credeva impossibile un sì. Invece Donati ha detto sì ed è partito
un progetto osteggiato dai nemici del professore, dai moralisti di
oggi che ieri chiudevano gli occhi davanti alle malefatte
dell'atletica italiana, dai giustizialisti sempre pronti a perdonare
se stessi, mai a concedere agli altri una seconda opportunità.
Lo
confesso, sono stato favorevole all'ergastolo nello sport, agli
sportivi che sprecano il loro talento dopandosi o vendendosi. Ne
parlai proprio con Alex, mentre lavoravamo alla realizzazione di un
libro che non è una storia, ma un invito a cambiare in meglio la
propria vita, camminando.
Un
giorno ho aperto gli occhi e mi sono chiesto: chi sono io per non
concedere a chi sbaglia – nello sport – una seconda opportunità
se la vita e la legge la concedono a chi ruba, talvolta a chi uccide?
Il
discorso non riguarda Alex, perché l'amicizia vale più di una
medaglia d'oro. Troppo facile dirsi amici quando si vince. Assai più
difficile esserlo quando si perde. Credo di avergli dimostrato la mia amicizia a Londra, davanti a Buckingham Palace la
mattina dell'11 agosto 2012, mentre era in corso la 50 chilometri.
Una bandiera tricolore con la scritta Forza Alex. Una scritta che non
piacque a qualche italiano presente. “Come fa a sostenere chi si
dopa?” obiettò uno. “Sostengo un amico, prima che l'atleta” risposi,
ricevendo in cambio ulteriore astio.
La mia solidarietà ad Alex durante la 50 km dei Giochi Olimpici di Londra 2012 |
La
vicenda di Alex ha dato vita a una storia che tutti conoscono. Non
sto a ricordarla.
Domenica
mattina, in uno scenario unico, tra l'Arco di Costantino, il Colosseo
e le Terme di Caracalla, ho rivissuto la storia, dalle lacrime di
delusione, anzi di dolore, alla notizia del suo doping, alla gioia di
averlo rivisto marciare lo scorso 4 ottobre, in una delle prove fra
la gente che gli vuole bene, fra la curiosità dei tanti e
l'indignazione di altrettanti.
Alcuni degli indignati, tra tifosi e
giornalisti, erano lì, pronti a
esultare se Alex avesse fallito l'unica prova che poteva portarlo
all'Olimpiade di Rio. Per fortuna, molti di più erano lì a
sostenerlo. Dopo alcuni anni ho riabbracciato con grande affetto la
mamma di Alex, Maria Luisa, che prima ancora di parlare della prova
che attendeva il figlio mi ha chiesto se avessi notizie su una nostra
comune amica alle prese con una battaglia ben più dura e ho saputo
che poco tempo fa è morta la “Signora dei canederli”, a Calice/Kalch, dove Alex
mi aveva invitato a cena per gustare “i migliori canederli del
Tirolo”. Maria Luisa mi ha presentato Kathrin, la fidanzata
di Alex, raccontandole la mia amicizia, il nostro libro. Kathrin mi è piaciuta subito.
Ho
rivisto gli amici, chi lo segue quotidianamente, giornalisti con i
quali ho fatto trasferte europee al seguito della Scavolini Basket. Ho conosciuto l'avvocato Gerhard Brandstaetter, che confessava: "Ho fatto atletica e seguito mia figlia tuffatrice, ma non ho sofferto mai come per questa gara". Soprattutto
ho rivisto Giulia Mancini e Giuseppe Sorcinelli, non solo la manager e il suo compagno, veri amici che hanno vissuto giorno dopo
giorno la parabola di Alex, entrambi in grande apprensione mentre il
loro cane, Benito, cercava una palla da inseguire nei prati vicini.
L'avvocato Sorcinelli con la bandiera tricolore da dare ad Alex |
E
ho rivisto soprattutto, Alex... teso, deciso, anche cattivo, ma affettuoso: un sorriso per
tutti, un cuoricino fatto con le dita e un bacio a Kathrin. Magari un rimprovero lo meriterebbe con chi gli ha disegnato sulle gambe la bandiera sbagliata, trasformata da tricolore verticale a orizzontale. Come la bandiera ungherese.
Uno scenario meraviglioso per un gesto d'amore: il cuoricino di Alex per Kathrin |
E
l'ho rivisto marciare come sa fare, per 3 ore e 39 minuti.
Una prestazione da applausi, che hanno messo a tacere i pochi contestatori, quelli che
ostentavano la maglia con la scritta “Io non ho mai pensato di
doparmi”. Avrei voluto mostrare loro una maglia con scritto: “Io
non ho pensato mai di essere perfetto”.
In
molti, però, continuano a pensare che Schwazer non meriti la maglia
azzurra, il ritorno alle competizioni, meno che meno ai Mondiali o ai
Giochi Olimpici. Ho imparato che alcuni giornalisti si sarebbero
visti a cena per parlarne... Di cosa, se la legge gli concede di
gareggiare, se la Fidal e il Coni erano in prima fila, domenica ad
abbracciarlo a fine gara? Ci resta una domanda: l'avrebbero
abbracciato se non avesse vinto? Se si fosse ritirato?
Ci
resta una risposta: Alex è condannato, lo sarà sempre, nel cuore di
chi si sente perfetto, magari sbaglia ma non lo dice, di chi è
garantista solo con i propri familiari, con i propri amici, non con
gli altri. Ma ha una consolazione, Alex: è circondato da persone che
gli vogliono bene, che gli sono amiche sempre, che lo hanno aiutato a
ritrovare prima se stesso, l'uomo, poi l'atleta.
Un'ultima
considerazione: tra sabato e domenica, a Roma ho rivisto tante
persone, amici veri o all'occorrenza, e ho incontrato straordinari
personaggi che hanno fatto e fanno bene allo sport. E ho perduto il
piacere di ammirare un marciatore che è sempre stato fra i miei
preferiti.
Fra
gli straordinari personaggi, Sebastian Coe, mio idolo di tanti anni
fa, ed Erin Talcott, statunitense, la prima donna a concludere una 50 km; durante la gara le ho dedicato più applausi e incitamenti che ad Alex. Bravissima!
Tanti applausi per Erin Talcott |
Chi
non li riceverà più è Jared Tallent, marciatore australiano, che
a fine gara ha avuto il cattivo gusto di commentare così il successo
di Schwazer, che lo aveva staccato di oltre 3 minuti: “Ho la
sensazione di essere finito dietro un baro, che tra l'altro ha
detto di non aver gare nelle gambe, mentre a me risulta ne abbia
fatte due”. Ma quando, se la squalifica è finita il 29 aprile? O
due prove in mezzo alla gente possono essere considerate gare?
Tallent alla partenza, bravo con i piedi, ma con il resto... |
Poco fa ho letto anche una dichiarazione di Yohann Diniz: “Questo
ritorno è una brutta notizia, Schwazer è una brutta persona”. Non
è vero, Alex ha sbagliato, è fatto a modo suo, ma è una bella
persona.