Toglietemi
tutto ma non il mio…Brady
di
LORENZO SCATIGNA
Lo
sport in Usa è una cosa maledettamente seria, come deve essere in
una nazione che investe in tale settore migliaia di miliardi di
dollari. Ed in questo ambito chi truffa o inganna la pagherà, eccome
se la pagherà, ancor più che in altri contesti. Proprio come in
Italia eh? Beh in Italia i governanti ci hanno ormai insegnato che
fare i furbi è la regola ed essere onesti è l’eccezione. Ma
lasciamo stare: questa sarebbe materia per altro romanzo.
Omettiamo
anche al momento il doping conclamato e riconosciuto di Alex
Rodriguez, al secolo A-Rod, battitore di punta degli arcinoti Yankees
di New York, i quali intanto hanno rimandato al mittente le pubbliche
scuse del loro - a questo punto presunto – fuoriclasse, in attesa
di sviluppi, e concentriamoci sull’evento che nella notte
(italiana) tra domenica e lunedì paralizzerà gli Stati Uniti nella
loro totalità: il Superbowl, giunto alla sua 49esima edizione.
Ovvero, il più grande spettacolo sportivo USA, il vero Natale
americano, la più grande messa laica statunitense capace di unire e
raccogliere davanti alla tv oltre 100 milioni dicasi 100, di
telespettatori solo negli USA.
Tom Brady con la maglia numero 12 |
Come
avrete intuito il Superbowl quindi non è solo un grande evento
sportivo ma anche di costume sociale (solo una piccola percentuale di
americani vedrà la partita nella solitudine della propria casa,
oltre il 20% parteciperanno a “superbowl party”. Quanto mi rode
quest’anno non potermela gustare in costume da bagno al Clevelander
su Ocean Drive), di marketing e televisivo (consentitemi di darvi
qualche dato a riguardo: rating alle stelle per la gioia della NBC
che ha venduto ad oggi il 95% di spot televisivi disponibili alla
modica cifra di 4,5 milioni di presidenti morti per 30 secondi di
spazio. Ed ovviamente c’è stata la solita corsa delle più grandi
multinazionali mondiali per presentare in anteprima nuove ed
esclusive – e spesso bizzarre e creative – pubblicità durante
appunto le pause della partita). E’ si perché, Glendale, la
cittadina nel deserto dell’Arizona dove ha sede lo stadio
dell’Università di Phoenix teatro della sfida di quest’anno tra
i New England Patriots e i Seattle Seahawks, in questo week end a
stelle e strisce oltre ad essere la Capitale dello sport americano
sarà inoltre “the place to be”. Anche per i cantanti Katy Perry
e Lenny Kravitz, protagonisti dell’attesissimo mini concerto che
andrà in scena all’intervallo. Uno show nello show, le ultime due
ad esibirsi furono Madonna nel 2012 e Beyoncé nel 2103. Questa è
l’America, bellezza.
Ma
torniamo alle frodi ed agli scandali, sì perché quest’anno a
tener banco ed a scaldare oltremodo l’atmosfera nelle due settimane
che precedono il Superbowl è stato il “DeflateGate” ovvero lo
scandalo dei palloni (ovali) sgonfi che ha coinvolto i Patriots nel
dopo partita del Conference Championship (cioè della semifinale
playoff) dove hanno massacrato i Colts per 45 a 7, allorché si è
scoperto che gli ovali utilizzati durante le azioni offensive dei New
England erano meno gonfi del consentito consentendo così una presa
migliore per il proprio quarterback, il divino Tom Brady (tenete
questa icona aperta che poi ci torniamo) e per i suoi ricevitori. E
quando si gioca all’aperto in condizioni climatiche proibitive ad
una temperatura abbondantemente sotto lo zero come nel caso del match
di 2 settimane fa al Gillette Stadium di Foxborough, Massachusetts,
può essere un discreto vantaggio. Per difendersi dagli attacchi,
Bill Belichick, l’allenatore che dal 1999 è alla guida dei Pats
(succedendo a quel Pete Carroll che ora i guida proprio i campioni in
carica di Seattle, tanto per aggiungere un po’ di carne al fuoco a
questa avvincente sfida) nella conferenza stampa post sbarco a
Glendale di martedì scorso ha ribattuto accusa su accusa che
un’intera nazione sta riversando sulla squadra più odiata
d’America, sostenendo di aver partecipato direttamente ai test in
laboratorio che i Pats han sostenuto nella settimana dopo la partita
incriminata per provare che in quelle condizioni atmosferiche gli
ovali avrebbero “naturalmente” perso pressione allo strofinio
delle mani dei giocatori. Ora mi domando: ma voi ce lo vedete Bill
Belichick che invece di preparare la partita più importante
dell’anno è lì in laboratorio col camice a fare test scientifici?
No, e neanche gli americani se per questo, che sul web si sono
divertiti a sbeffeggiarlo. Da oggi in poi chiamatelo pure “The
Science Guy”.
A
rimpolpare gli attacchi dell’ultim’ora ci si è messo pure Kurt
Warren, ex portentoso Qb dei St. Louis Rams (in quella stagione
meglio conosciuti come “The Greatest Show on Turf” ovverosia Il
più grande spettacolo su un campo da football) che nel 2001
“regalarono” ai Pats ed a Tom Brady il primo titolo della loro
storia e della sua carriera (punteggio finale 20-17 per i Pats),
adducendo dei sinistri quanto non ben precisati dubbi su quella
vittoria. A ruota ci si è messo anche l’ex GM degli allora
Carolina Panthers, squadra sconfitta dai Pats per 32-29 nel Superbowl
del 2003, riportando altri dubbi sulla validità di quel risultato.
A ore si attende che qualche rappresentante dei Philadelphia Eagles,
squadra perdente del Superbowl del 2004 vinto dai Pats per 24-21 esca
e dica la sua.
Come
vedete i New England saranno anche i “Patrioti”, non sono però
di certo la squadra più amato ma sicuramente sono la franchigia del
quindicennio: dal 2001 ad oggi hanno vinto 3 Superbowl, con back to
back nel 2003 e 2004 (ultima squadra a riuscirci e a cui aspirano
domenica i Seahawks), perdendone però due sanguinosi, sempre contro
i Giants di Ely Manning (la grande nemesi di Brady), uno nel 2007 per
17 a 14, il più doloroso di tutti, quello che avrebbe coronato la
“perfect season” (16 vinte – 0 perse in regular season più il
2 vinte 0 perse dei playoff), quello dell’ ”helmet-one hand
catch” di Tyree e susseguente Td a 35” dal termine. A proposito,
dimenticavo: quella partita è stata disputata allo stadio
dell’Università di Phoenix, Glendale, Arizona. Corsi e riscorsi
storici. L’altra sconfitta per 21 a 17 nel 2011. Titoli che se
vinti avrebbero consegnato alla storia ed all’olimpo del football
americano, a tener compagnia a veri e propri miti quali Terry
Bradshaw e Joe Montana, il più grande QB degli ultimi 15 anni, al
secolo Tom Brady, alla ricerca del suo quarto Superbowl e della
consacrazione definitiva e legittima come uno dei più grandi di
sempre.
Come
si può evincere ho un discreto debole per questo giocatore che
interpreta il ruolo più difficile in uno sport di per se disumano.
Aggiungiamoci il fatto che oltre ricchissimo e molto famoso è anche
belloccio. Ma soprattutto ogni sera quando spegne la luce
dell'abat-jour della camera da letto per andare a dormire (forse) al
suo fianco è stesa una delle donne più belle del mondo, che è
anche sua moglie: quella super top model che risponde al nome di
Gisele Bundchen. Brutto? La signora Brady che addirittura non
bastassero tutte le sfighe (quali???) che circondano la loro vita di
coppia, alla vigilia del Superbowl del 2011 è finita sulle pagine
del New York Post con il testo di una mail spedita ad amici e parenti
in cui chiedeva “le preghiere di tutti in una giornata davvero
importante della vita e della carriera di mio marito”. Della serie:
Dio è morto, Marx è morto e neanche io mi sento troppo bene. Non
crediamo che quest’anno visto le condizioni in cui versa questo
nostro povero globo terracqueo ripeterà l’exploit. Anche perché
le preghiere furono appunto alquanto inascoltate.
Ma
torniamo al marito dell’ex signorina Bundchen: io credo IMHO (in my
humble opinion, nella mia modesta opinione) e spero che il suo
appuntamento con la storia sia giunto. Se lo meriterebbe. Scelto al
sesto (sì avete letto bene) giro del draft del 2000 dai Patriots, la
sua carriera ebbe inizio alla seconda giornata della stagione 2001
quando un linebacker dei New York Jets mise fine alla stagione e minò
la carriera dell’allora Qb titolare Drew Bladsoe (il cui fratello,
Adam, decisamente meno talentuoso e dotato evoluì per un anno qui da
noi in Italia nelle file degli Ancona Dolphins, scoprendo l’amore e
la passione per il vino grazie alla quale oggi è diventato un abile
uomo d’affari nel settore vinicolo), ma ci volle un po’ per
prendere in mano il giochino per poi non fermarsi più: sconfitta
all’esordio e partiti 0-2 in una stagione di 16 partite, dopo la
decima i Pats avevano 5 partite vinte ed altrettante perse, con
chance di playoff a grave rischio. In USA si parla spesso di “peaking
at the right time”, ovvero della capacità di squadre e campioni di
entrare in forma (o di “svoltare”) al momento giusto. Da lì in
poi Tom Brady svoltò: 6 W consecutive, qualificazione alla post
season, 2 vittorie ai playoff (la prima rocambolesca dopo un
supplementare per 16 a 13 contro gli Oakland Raiders, sotto una
tormenta di neve epocale in quella che viene tuttora ricordata come
the “Blizzard Game”, “The Snow Bowl” o meglio “The Tuck
Rule Game” dato il contestatissimo episodio che diede la vittoria
ai Pats e che portò il board della NFL la stagione seguente a
cancellare quella regola ingiusta nota appunto come Tuck Rule) e la
conseguente vittoria da underdog al SuperBowl XXXVI contro l’attacco
galattico dei Rams guidati dal sopracitato Kurt Warren. E’ vero che
in quella partita lì fecero tutto i Rams stessi, con i 2 intercetti
subiti da Warren e la straordinaria rimonta guidata da lui stesso. Ma
poi fu Brady che con 1’30” rimasti sul cronometro e nessun time
out a disposizione sul punteggio di 17 pari, a soli 24 anni, invece
di congelare la partita e portarla ai supplementari ebbe il coraggio,
alla sua tenerà età nella partita più importante e difficile
dell’anno, di completare un drive da antologia portando i suoi in
raggio da field goal per far sì che per Adam Vinatieri fosse un
gioco da ragazzi centrare i pali mentre il cronometro passava lo zero
e dare lo storico primo ed insperato trionfo ai New England. Fu
eletto MVP del Superbowl. Era nato un campione, Snow Bowl o Tuck Rule
che si voglia. Un campione con la C maiuscola e che domenica vorrebbe
entrare nel mito, Marshall Lynch e Legion of Boom dei Seahawks
permettendo. Ma Tom Brady attualmente, nonostante 14 stagioni alle
spalle e tutte sulla cresta dell’onda è “the Best in the
Business” cioè è ancora il meglio in circolazione. (poi della
grandissima capacità degli americani di dare uno short name o un
soprannome breve e azzeccatissimo a qualsiasi personaggio, cosa o
fatto da rendere l’esatta idea di quel che è, sarà argomento di
un prossimo post).
E’
vero che il Superbowl del 2001 fu il primo post 11 Settembre, e
quindi non poteva non vincerlo la squadra del destino (i Patrioti
appunto), fu anche il primo a disputarsi in Febbraio e da
quell’edizione compresa in avanti, dato l’innalzamento delle
misure di sicurezza seguente all’attacco terroristico alle Torri
Gemelle, è considerato dal Dipartimento dell’Homeland Security
(DHS) come Evento di Speciale Sicurezza Nazionale (NSSE)
Negli
Usa anche quest’anno non tardano a farci sapere che per l’occasione
del Superbowl verranno consumati più di un miliardotrecentomilioni e
spiccioli litri di birra davanti alla partita dell’anno (con i
quali ci si riempirebbero più di 500 piscine olimpioniche) e tante
di quelle patatine da riempirci quasi 100 Boeing 747.
Bene,
Luciano ed io ci limiteremo ad un paio di deliziosi panini d’autore
ed a qualche eccellente birra IPA artigianale da Flamo al Tipo Pub in
Viale Trieste.
Si
comincia a mezzanotte e mezza ed il canale su cui sintonizzarsi è
Fox Sports 2 HD, il canale 213. Quello che inoltre immagino è che
sarà anche stavolta una partita con strettissimo margine di
punteggio (come in tutti gli ultimi 5 Superbowl dei Pats: quattro con
scarti di 3 punti ed uno di 4 punti). I Seahawks vogliono bissare il
titolo dell’anno scorso, Marshall Lynch è uno dei più forti
runningback della storia di questo sport, la Legion of Boom (cioè la
secondaria dei Seahawks) fa paura e Richard Sherman turberebbe i
sogni di qualsiasi Qb, ma la storia attende Tom Brady. Vedremo se
questa volta ci entrerà. Da non perdere!
@LucianoMurgia
Inutile
dirvi che il mio tifo è all'opposto: sogno il bis di Seattle, dei
Seahawks di coach Peter Clay Carroll, detto Pete, che vincerebbe il
secondo Super Bowl, dopo quello conquistato lo scorso anno, a spese
dei Denver Broncos.
Una
premessa: non amo il tifo contro, tifo sempre a favore, a patto che
non ci sia di mezzo una squadra di Boston, che mi consente
un'eccezione. E' tutto merito, anzi colpa, di Larry Bird. Sì,
proprio lui, il campione dei Boston Celtics. Era ottobre 1988, a
Madrid si giocava il McDonald's Open, con la squadra di casa, sì,
quella che gioca con la “camiseta blanca”, le merengues, le
meringhe, appunto, che schieravano il nuovo acquisto, Drazen
Petrovic. E con i Boston Celtics di Larry Bird, Danny Ainge, Kevin
McHale, Bob Parish, Dennis Johnson. E la Jugoslavia dei fantastici
monelli, da Vlade Divac a Dino Radja, da Jure Zdovc a Tony Kukoc. E
la Scavolini Pesaro campione d'Italia, quando il basket italiano
aveva grande valore ed era rispettato in tutto il mondo. Inviato al
seguito della squadra allenata da Valerio Bianchini, con Drew e Daye,
Magnifico e Costa, Gracis e Zampolini, Minelli e Ferro, Pieri e
Vecchiato, provai ad avvicinare Larry Bird per chiedergli un
autografo . “E' per mia figlia” gli dissi. Non si degnò neppure
di guardarmi, dall'alto dei suoi 2 metri e 6 centimetri, si limitò a
rispondere: “Scordatelo”.
E
pensare che il sabato sera, al party nel bellissimo Palacio de
Cristal, nel Parque del Retiro, Danny Ainge (oggi general manager dei Celtics) e Kevin McHale (attuale allenatore di Houston, con cui collabora il pesarese Gianluca Pascucci, dirigente operativo dei Rockets),
presentati dall'allora signora Daye, furono molto carini. Con Ainge,
che scherzava con Matteo Minelli sul tiro in semigancio del giovane playmaker pesarese, parlammo
addirittura di baseball. Si sorprese quando gli dissi che la
Scavolini aveva sponsorizzato anche una squadra di baseball allenata
da Joe Ferguson, che negli Usa era un mito e a Pesaro aveva causato
la fine di una gloriosa storia.
Per
farla più breve, malgrado la simpatia di Ainge e la gentilezza di
McHale e soprattutto di coach K.C. Jones, da quel giorno tifo contro Boston,
in tutti gli sport. Passi nel baseball, visto che tengo agli Yankees
e i Red Sox sono rivali acerrimi dei Bomber del Bronx... Ma è così
anche nel basket (tifo Philadelphia 76ers) e nel football (amo i
Dallas Cowboys). Lo so, un po' mi vergogno, ma una delle gioie più
grandi l'ho provata quando i New York Giants hanno superato i
Patriots sia nel 2008 (17-14) sia nel 2012 (21-17), sfilando ai
bostoniani due Super Bowl che sentivano già in cassaforte.
Domenica
notte, vedrò "solo" Seattle, sperando che la sua difesa si confermi
super e faccia meglio di quanto visto nella finale della NFC contro i
Green Bay Packers. E magari che Russell Wilson non sfiguri davanti a
Brady. Per mandare New England 3-5 (3 vinti e 5 persi) nel conto dei
Super Bowl, confido molto in Marshawn Linch, il runningback che ha
una storia opposta a Brady e anche ieri ha conquistato spazio per le
non risposte nella conferenza stampa: “Sapete perché sono qui, per
non pagare la multa” ha risposto a ogni domanda. Lui preferisce i
fatti alle parole. E confido nelle ricezioni di Jermaine Kearse, nei
tackle di Bobby Wagner, nei sack (i placcaggi sul qb avversario) di
Cliff Avril e negli intercetti di Richard Sherman.
I tifosi di Seattle sono il numero "12" (Pagina Facebook) |
E
nel tifo fantastico dei tifosi di Seattle, noti in tutto il mondo del
football per essere i veri numeri “12”. Sperando che l'amico
Roberto Gotta, bravissimo commentatore di Fox Sports 2, racconti una
notte indimenticabile per i Seahawks. Sarà una lunga notte anche a
Pesaro, dove esiste da più di 30 anni una squadra – e che squadra – di
american football: Ranocchi Angels. protagonisti di due Super Bowl italiani. Il presidente Frank Fabbri ha
organizzato una serata in compagnia, nel Circolo Caprilino, vicino al
campo d'allenamento. “Saremo più di cento. Abbiamo invitato anche
i giganti del basket e le pallavoliste del Volley Pesaro... L'anno scorso Musso era
stato con noi”.
Nella
speranza che...
“Non vinca New England, ah ah ah!”.
“Non vinca New England, ah ah ah!”.
E
allora non resta che urlare “Go twelve, go!”. Che non è un incoraggiamento al qb numero 12 dei Patriots, ma al tifo incredibile dei fans dei Seattle Seahawks.
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