sabato 31 gennaio 2015

SUPER BOWL, E' L'EVENTO DELL'ANNO CON PATRIOTS E SEAHAWKS. IL 12 CONTRO IL 12° UOMO. UNA NOTTE CON GLI ANGELS PESARO

Toglietemi tutto ma non il mio…Brady

di LORENZO SCATIGNA
Tom Brady, quarterback dei Patriots (pagina Facebook)

Lo sport in Usa è una cosa maledettamente seria, come deve essere in una nazione che investe in tale settore migliaia di miliardi di dollari. Ed in questo ambito chi truffa o inganna la pagherà, eccome se la pagherà, ancor più che in altri contesti. Proprio come in Italia eh? Beh in Italia i governanti ci hanno ormai insegnato che fare i furbi è la regola ed essere onesti è l’eccezione. Ma lasciamo stare: questa sarebbe materia per altro romanzo.
Omettiamo anche al momento il doping conclamato e riconosciuto di Alex Rodriguez, al secolo A-Rod, battitore di punta degli arcinoti Yankees di New York, i quali intanto hanno rimandato al mittente le pubbliche scuse del loro - a questo punto presunto – fuoriclasse, in attesa di sviluppi, e concentriamoci sull’evento che nella notte (italiana) tra domenica e lunedì paralizzerà gli Stati Uniti nella loro totalità: il Superbowl, giunto alla sua 49esima edizione. Ovvero, il più grande spettacolo sportivo USA, il vero Natale americano, la più grande messa laica statunitense capace di unire e raccogliere davanti alla tv oltre 100 milioni dicasi 100, di telespettatori solo negli USA.
Tom Brady con la maglia numero 12

Come avrete intuito il Superbowl quindi non è solo un grande evento sportivo ma anche di costume sociale (solo una piccola percentuale di americani vedrà la partita nella solitudine della propria casa, oltre il 20% parteciperanno a “superbowl party”. Quanto mi rode quest’anno non potermela gustare in costume da bagno al Clevelander su Ocean Drive), di marketing e televisivo (consentitemi di darvi qualche dato a riguardo: rating alle stelle per la gioia della NBC che ha venduto ad oggi il 95% di spot televisivi disponibili alla modica cifra di 4,5 milioni di presidenti morti per 30 secondi di spazio. Ed ovviamente c’è stata la solita corsa delle più grandi multinazionali mondiali per presentare in anteprima nuove ed esclusive – e spesso bizzarre e creative – pubblicità durante appunto le pause della partita). E’ si perché, Glendale, la cittadina nel deserto dell’Arizona dove ha sede lo stadio dell’Università di Phoenix teatro della sfida di quest’anno tra i New England Patriots e i Seattle Seahawks, in questo week end a stelle e strisce oltre ad essere la Capitale dello sport americano sarà inoltre “the place to be”. Anche per i cantanti Katy Perry e Lenny Kravitz, protagonisti dell’attesissimo mini concerto che andrà in scena all’intervallo. Uno show nello show, le ultime due ad esibirsi furono Madonna nel 2012 e Beyoncé nel 2103. Questa è l’America, bellezza.
Ma torniamo alle frodi ed agli scandali, sì perché quest’anno a tener banco ed a scaldare oltremodo l’atmosfera nelle due settimane che precedono il Superbowl è stato il “DeflateGate” ovvero lo scandalo dei palloni (ovali) sgonfi che ha coinvolto i Patriots nel dopo partita del Conference Championship (cioè della semifinale playoff) dove hanno massacrato i Colts per 45 a 7, allorché si è scoperto che gli ovali utilizzati durante le azioni offensive dei New England erano meno gonfi del consentito consentendo così una presa migliore per il proprio quarterback, il divino Tom Brady (tenete questa icona aperta che poi ci torniamo) e per i suoi ricevitori. E quando si gioca all’aperto in condizioni climatiche proibitive ad una temperatura abbondantemente sotto lo zero come nel caso del match di 2 settimane fa al Gillette Stadium di Foxborough, Massachusetts, può essere un discreto vantaggio. Per difendersi dagli attacchi, Bill Belichick, l’allenatore che dal 1999 è alla guida dei Pats (succedendo a quel Pete Carroll che ora i guida proprio i campioni in carica di Seattle, tanto per aggiungere un po’ di carne al fuoco a questa avvincente sfida) nella conferenza stampa post sbarco a Glendale di martedì scorso ha ribattuto accusa su accusa che un’intera nazione sta riversando sulla squadra più odiata d’America, sostenendo di aver partecipato direttamente ai test in laboratorio che i Pats han sostenuto nella settimana dopo la partita incriminata per provare che in quelle condizioni atmosferiche gli ovali avrebbero “naturalmente” perso pressione allo strofinio delle mani dei giocatori. Ora mi domando: ma voi ce lo vedete Bill Belichick che invece di preparare la partita più importante dell’anno è lì in laboratorio col camice a fare test scientifici? No, e neanche gli americani se per questo, che sul web si sono divertiti a sbeffeggiarlo. Da oggi in poi chiamatelo pure “The Science Guy”.
A rimpolpare gli attacchi dell’ultim’ora ci si è messo pure Kurt Warren, ex portentoso Qb dei St. Louis Rams (in quella stagione meglio conosciuti come “The Greatest Show on Turf” ovverosia Il più grande spettacolo su un campo da football) che nel 2001 “regalarono” ai Pats ed a Tom Brady il primo titolo della loro storia e della sua carriera (punteggio finale 20-17 per i Pats), adducendo dei sinistri quanto non ben precisati dubbi su quella vittoria. A ruota ci si è messo anche l’ex GM degli allora Carolina Panthers, squadra sconfitta dai Pats per 32-29 nel Superbowl del 2003, riportando altri dubbi sulla validità di quel risultato. A ore si attende che qualche rappresentante dei Philadelphia Eagles, squadra perdente del Superbowl del 2004 vinto dai Pats per 24-21 esca e dica la sua.
Come vedete i New England saranno anche i “Patrioti”, non sono però di certo la squadra più amato ma sicuramente sono la franchigia del quindicennio: dal 2001 ad oggi hanno vinto 3 Superbowl, con back to back nel 2003 e 2004 (ultima squadra a riuscirci e a cui aspirano domenica i Seahawks), perdendone però due sanguinosi, sempre contro i Giants di Ely Manning (la grande nemesi di Brady), uno nel 2007 per 17 a 14, il più doloroso di tutti, quello che avrebbe coronato la “perfect season” (16 vinte – 0 perse in regular season più il 2 vinte 0 perse dei playoff), quello dell’ ”helmet-one hand catch” di Tyree e susseguente Td a 35” dal termine. A proposito, dimenticavo: quella partita è stata disputata allo stadio dell’Università di Phoenix, Glendale, Arizona. Corsi e riscorsi storici. L’altra sconfitta per 21 a 17 nel 2011. Titoli che se vinti avrebbero consegnato alla storia ed all’olimpo del football americano, a tener compagnia a veri e propri miti quali Terry Bradshaw e Joe Montana, il più grande QB degli ultimi 15 anni, al secolo Tom Brady, alla ricerca del suo quarto Superbowl e della consacrazione definitiva e legittima come uno dei più grandi di sempre.
Come si può evincere ho un discreto debole per questo giocatore che interpreta il ruolo più difficile in uno sport di per se disumano. Aggiungiamoci il fatto che oltre ricchissimo e molto famoso è anche belloccio. Ma soprattutto ogni sera quando spegne la luce dell'abat-jour della camera da letto per andare a dormire (forse) al suo fianco è stesa una delle donne più belle del mondo, che è anche sua moglie: quella super top model che risponde al nome di Gisele Bundchen. Brutto? La signora Brady che addirittura non bastassero tutte le sfighe (quali???) che circondano la loro vita di coppia, alla vigilia del Superbowl del 2011 è finita sulle pagine del New York Post con il testo di una mail spedita ad amici e parenti in cui chiedeva “le preghiere di tutti in una giornata davvero importante della vita e della carriera di mio marito”. Della serie: Dio è morto, Marx è morto e neanche io mi sento troppo bene. Non crediamo che quest’anno visto le condizioni in cui versa questo nostro povero globo terracqueo ripeterà l’exploit. Anche perché le preghiere furono appunto alquanto inascoltate.
Ma torniamo al marito dell’ex signorina Bundchen: io credo IMHO (in my humble opinion, nella mia modesta opinione) e spero che il suo appuntamento con la storia sia giunto. Se lo meriterebbe. Scelto al sesto (sì avete letto bene) giro del draft del 2000 dai Patriots, la sua carriera ebbe inizio alla seconda giornata della stagione 2001 quando un linebacker dei New York Jets mise fine alla stagione e minò la carriera dell’allora Qb titolare Drew Bladsoe (il cui fratello, Adam, decisamente meno talentuoso e dotato evoluì per un anno qui da noi in Italia nelle file degli Ancona Dolphins, scoprendo l’amore e la passione per il vino grazie alla quale oggi è diventato un abile uomo d’affari nel settore vinicolo), ma ci volle un po’ per prendere in mano il giochino per poi non fermarsi più: sconfitta all’esordio e partiti 0-2 in una stagione di 16 partite, dopo la decima i Pats avevano 5 partite vinte ed altrettante perse, con chance di playoff a grave rischio. In USA si parla spesso di “peaking at the right time”, ovvero della capacità di squadre e campioni di entrare in forma (o di “svoltare”) al momento giusto. Da lì in poi Tom Brady svoltò: 6 W consecutive, qualificazione alla post season, 2 vittorie ai playoff (la prima rocambolesca dopo un supplementare per 16 a 13 contro gli Oakland Raiders, sotto una tormenta di neve epocale in quella che viene tuttora ricordata come the “Blizzard Game”, “The Snow Bowl” o meglio “The Tuck Rule Game” dato il contestatissimo episodio che diede la vittoria ai Pats e che portò il board della NFL la stagione seguente a cancellare quella regola ingiusta nota appunto come Tuck Rule) e la conseguente vittoria da underdog al SuperBowl XXXVI contro l’attacco galattico dei Rams guidati dal sopracitato Kurt Warren. E’ vero che in quella partita lì fecero tutto i Rams stessi, con i 2 intercetti subiti da Warren e la straordinaria rimonta guidata da lui stesso. Ma poi fu Brady che con 1’30” rimasti sul cronometro e nessun time out a disposizione sul punteggio di 17 pari, a soli 24 anni, invece di congelare la partita e portarla ai supplementari ebbe il coraggio, alla sua tenerà età nella partita più importante e difficile dell’anno, di completare un drive da antologia portando i suoi in raggio da field goal per far sì che per Adam Vinatieri fosse un gioco da ragazzi centrare i pali mentre il cronometro passava lo zero e dare lo storico primo ed insperato trionfo ai New England. Fu eletto MVP del Superbowl. Era nato un campione, Snow Bowl o Tuck Rule che si voglia. Un campione con la C maiuscola e che domenica vorrebbe entrare nel mito, Marshall Lynch e Legion of Boom dei Seahawks permettendo. Ma Tom Brady attualmente, nonostante 14 stagioni alle spalle e tutte sulla cresta dell’onda è “the Best in the Business” cioè è ancora il meglio in circolazione. (poi della grandissima capacità degli americani di dare uno short name o un soprannome breve e azzeccatissimo a qualsiasi personaggio, cosa o fatto da rendere l’esatta idea di quel che è, sarà argomento di un prossimo post).
E’ vero che il Superbowl del 2001 fu il primo post 11 Settembre, e quindi non poteva non vincerlo la squadra del destino (i Patrioti appunto), fu anche il primo a disputarsi in Febbraio e da quell’edizione compresa in avanti, dato l’innalzamento delle misure di sicurezza seguente all’attacco terroristico alle Torri Gemelle, è considerato dal Dipartimento dell’Homeland Security (DHS) come Evento di Speciale Sicurezza Nazionale (NSSE)
Negli Usa anche quest’anno non tardano a farci sapere che per l’occasione del Superbowl verranno consumati più di un miliardotrecentomilioni e spiccioli litri di birra davanti alla partita dell’anno (con i quali ci si riempirebbero più di 500 piscine olimpioniche) e tante di quelle patatine da riempirci quasi 100 Boeing 747.
Bene, Luciano ed io ci limiteremo ad un paio di deliziosi panini d’autore ed a qualche eccellente birra IPA artigianale da Flamo al Tipo Pub in Viale Trieste.
Si comincia a mezzanotte e mezza ed il canale su cui sintonizzarsi è Fox Sports 2 HD, il canale 213. Quello che inoltre immagino è che sarà anche stavolta una partita con strettissimo margine di punteggio (come in tutti gli ultimi 5 Superbowl dei Pats: quattro con scarti di 3 punti ed uno di 4 punti). I Seahawks vogliono bissare il titolo dell’anno scorso, Marshall Lynch è uno dei più forti runningback della storia di questo sport, la Legion of Boom (cioè la secondaria dei Seahawks) fa paura e Richard Sherman turberebbe i sogni di qualsiasi Qb, ma la storia attende Tom Brady. Vedremo se questa volta ci entrerà. Da non perdere!

Vinca chiunque, purché sia... Seattle
Russell Wilson guida l'attacco dei Seahawks (pagina Facebook)

@LucianoMurgia
Inutile dirvi che il mio tifo è all'opposto: sogno il bis di Seattle, dei Seahawks di coach Peter Clay Carroll, detto Pete, che vincerebbe il secondo Super Bowl, dopo quello conquistato lo scorso anno, a spese dei Denver Broncos.
Una premessa: non amo il tifo contro, tifo sempre a favore, a patto che non ci sia di mezzo una squadra di Boston, che mi consente un'eccezione. E' tutto merito, anzi colpa, di Larry Bird. Sì, proprio lui, il campione dei Boston Celtics. Era ottobre 1988, a Madrid si giocava il McDonald's Open, con la squadra di casa, sì, quella che gioca con la “camiseta blanca”, le merengues, le meringhe, appunto, che schieravano il nuovo acquisto, Drazen Petrovic. E con i Boston Celtics di Larry Bird, Danny Ainge, Kevin McHale, Bob Parish, Dennis Johnson. E la Jugoslavia dei fantastici monelli, da Vlade Divac a Dino Radja, da Jure Zdovc a Tony Kukoc. E la Scavolini Pesaro campione d'Italia, quando il basket italiano aveva grande valore ed era rispettato in tutto il mondo. Inviato al seguito della squadra allenata da Valerio Bianchini, con Drew e Daye, Magnifico e Costa, Gracis e Zampolini, Minelli e Ferro, Pieri e Vecchiato, provai ad avvicinare Larry Bird per chiedergli un autografo . “E' per mia figlia” gli dissi. Non si degnò neppure di guardarmi, dall'alto dei suoi 2 metri e 6 centimetri, si limitò a rispondere: “Scordatelo”.
E pensare che il sabato sera, al party nel bellissimo Palacio de Cristal, nel Parque del Retiro, Danny Ainge (oggi general manager dei Celtics) e Kevin McHale (attuale allenatore di Houston, con cui collabora il pesarese Gianluca Pascucci, dirigente operativo dei Rockets), presentati dall'allora signora Daye, furono molto carini. Con Ainge, che scherzava con Matteo Minelli sul tiro in semigancio del giovane playmaker pesarese, parlammo addirittura di baseball. Si sorprese quando gli dissi che la Scavolini aveva sponsorizzato anche una squadra di baseball allenata da Joe Ferguson, che negli Usa era un mito e a Pesaro aveva causato la fine di una gloriosa storia.
Per farla più breve, malgrado la simpatia di Ainge e la gentilezza di McHale e soprattutto di coach K.C. Jones, da quel giorno tifo contro Boston, in tutti gli sport. Passi nel baseball, visto che tengo agli Yankees e i Red Sox sono rivali acerrimi dei Bomber del Bronx... Ma è così anche nel basket (tifo Philadelphia 76ers) e nel football (amo i Dallas Cowboys). Lo so, un po' mi vergogno, ma una delle gioie più grandi l'ho provata quando i New York Giants hanno superato i Patriots sia nel 2008 (17-14) sia nel 2012 (21-17), sfilando ai bostoniani due Super Bowl che sentivano già in cassaforte.
Domenica notte, vedrò "solo" Seattle, sperando che la sua difesa si confermi super e faccia meglio di quanto visto nella finale della NFC contro i Green Bay Packers. E magari che Russell Wilson non sfiguri davanti a Brady. Per mandare New England 3-5 (3 vinti e 5 persi) nel conto dei Super Bowl, confido molto in Marshawn Linch, il runningback che ha una storia opposta a Brady e anche ieri ha conquistato spazio per le non risposte nella conferenza stampa: “Sapete perché sono qui, per non pagare la multa” ha risposto a ogni domanda. Lui preferisce i fatti alle parole. E confido nelle ricezioni di Jermaine Kearse, nei tackle di Bobby Wagner, nei sack (i placcaggi sul qb avversario) di Cliff Avril e negli intercetti di Richard Sherman.
I tifosi di Seattle sono  il numero "12" (Pagina Facebook)

E nel tifo fantastico dei tifosi di Seattle, noti in tutto il mondo del football per essere i veri numeri “12”. Sperando che l'amico Roberto Gotta, bravissimo commentatore di Fox Sports 2, racconti una notte indimenticabile per i Seahawks. Sarà una lunga notte anche a Pesaro, dove esiste da più di 30 anni una squadra – e che squadra – di american football: Ranocchi Angels. protagonisti di due Super Bowl italiani. Il presidente Frank Fabbri ha organizzato una serata in compagnia, nel Circolo Caprilino, vicino al campo d'allenamento. “Saremo più di cento. Abbiamo invitato anche i giganti del basket e le pallavoliste del Volley Pesaro... L'anno scorso Musso era stato con noi”.
Nella speranza che...
“Non vinca New England, ah ah ah!”.

E allora non resta che urlare “Go twelve, go!”. Che non è un incoraggiamento al qb numero 12 dei Patriots, ma al tifo incredibile dei fans dei Seattle Seahawks.

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