RIVEDERE ALEX MARCIARE, UNA GRANDE EMOZIONE
@LucianoMurgia
Rivederlo
marciare è stata una grande emozione. Una doppia grande emozione.
Il bambino tifoso con la maglia Forza Alex |
La prima me
l'ha regalata un bambino che si è presentato alla partenza,
all'altezza del civico 124 di Via Valtrompia, nel quartiere Sacco
Pastore, indossando una maglietta bianca su cui aveva scritto, con il
pennarello, Forza Alex. L'immagine mi ha ricordato un
giornalista-tifoso più attempato che la mattina di sabato 11 agosto
2012 si presentò davanti a Buckingham Palace, a Londra, dove si
disputava la 50 chilometri di marcia dei Giochi Olimpici, esibendo
una bandiera tricolore con la scritta Forza Alex. Non era un
incoraggiamento all'atleta, fermato per doping pochi giorni prima,
lunedì 6 agosto, ma alla persona, all'amico, che pure era diventato
il diavolo dell'atletica leggera italiana.
Londra, 11 agosto 2012: una bandiera per incoraggiare Alex |
Quel giorno,
doveva essere la “gara di Alex”. Da quel giorno, Alex non ha
marciato più, fermato da una squalifica di 3 anni e 6 mesi prima e
di ulteriori 3 mesi dopo.
Non ho
certezze, potrei sbagliare, ma non ricordo una squalifica più lunga.
Oh, si badi
bene, Alex è colpevole, ha commesso il più grave dei peccati che
può commettere uno sportivo, secondo solo a chi vende le gare
scommettendo sulle proprie sconfitte o sulle sconfitte della propria
squadra, ma 3 anni e 9 mesi sono tanti, tantissimi, anche se so bene
che molti – compresi sportivi famosi – hanno invocato
l'ergastolo, sollecitando i giudici a chiuderlo in una cella e a
gettare le chiavi nel cesso.
La seconda
emozione l'ho provata rivedendolo, dopo questi lunghi anni. In un
attimo ho ripensato a quel lunedì sera. Dormivo, ero stanco, reduce
dal primo viaggio a Londra, a seguire la 20 chilometri che lui non
aveva fatto. In verità, che non doveva fare. Ricordo bene che ne
parlammo con lui e con il suo allenatore di allora, Michele Didoni,
una sera fredda a Sankt Moritz, dove Alex stava concludendo la
preparazione in altura, finalizzata alla lunga distanza, a quella
preferita, la 50 chilometri di cui era campione olimpico in carica.
Realizzai le interviste, preparai gli articoli per il sito web di
Alex, anticipando che lui, rientrato dalla montagna svizzera,
avrebbe trascorso qualche giorno a casa e poi sarebbe andato in
Germania, a Oberstdorf, dalla fidanzata Carolina, per rifinire la
preparazione.
Scritti gli
articoli, andai in vacanza a Carloforte. Prossimo appuntamento,
Londra. Mentre ero nella mia spiaggia preferita, mi telefonò Giulia
Mancini, la manager, per spiegarmi che c'era un cambiamento di
programma, che Alex avrebbe fatto anche la 20 chilometri. Lei – con
grande correttezza – non commentò neppure davanti alle mie
perplessità. Ricordai che nel 2010, agli Europei di Barcelona, era
arrivato secondo nella 20 chilometri, anche se poi la medaglia
d'argento diventò d'oro per la squalifica del vincitore, il ventenne
russo Stanislav Emel'janov, ma si ritirò dalla 50 chilometri, in
programma pochi giorni dopo. Pensai che c'erano state pressioni per
farlo gareggiare anche nella 20, nella speranza potesse regalare una
medaglia all'atletica azzurra, in grande difficoltà dopo la rinuncia
della sfortunata Antonietta Di Martino, la saltatrice in alto
possibile medaglia. E andai a Londra.
6
agosto 2012, uno choc
Tornai a
Pesaro la sera di domenica 5 agosto, passando dai 18 gradi di Londra
ai 36 dell'aeroporto di Falconara. La mattina di lunedì, conferenza
stampa di presentazione del Rof, articolo e poi a letto. Ero
stanchissimo e spensi il telefono. Al risveglio, quasi sera, trovai
decine di chiamate perse e di messaggi da giornalisti che seguono
l'atletica leggera, da Giulia Mancini, da mia figlia Alessia che vive
a Ravenna. Alessia mi aveva chiamato una decina di volte, fu la prima
alla quale telefonai. La sua voce era disperata: “Papà, papà, ma
non sai cosa è successo?”. Pensai subito a mia madre, 88enne.
Forse era le era successo qualcosa. Ma perché Giulia e i
giornalisti? Me lo spiegò mia figlia: “Papà, Schwazer è stato
fermato per doping!” urlò Alessia. Fu uno choc violentò, ebbi
bisogno di appoggiarmi al tavolo in terrazza. La testa mi girava, ero
incredulo, sgomento, inebetito, distrutto. E mi dicevo,
egoisticamente: ma come, proprio tu che sei stato sempre un nemico
giurato del doping, che non ami i calciatori che si tuffano per
rubare un rigore, anche se giocano nella tua squadra, hai scritto un
libro e collabori con uno che ti ha detto di odiare il doping e
invece si dopa.
Giulia mi
invitò alla conferenza stampa di Alex, a Bolzano, mercoledì 8, ma
la mattina dopo – come da programma – avevo il volo per Londra,
per assistere agli ultimi giorni degli splendidi Giochi organizzati
dal comitato presieduto da sir Sebastian Coe, uno dei miei miti
sportivi. Ero indeciso: Bolzano o Londra? Pensai che, volo e hotel
pagati, fosse giusto Londra per provare a capire meglio cosa stava
accadendo. Non riuscii nell'intento, ma grazie all'amico Piero
Benelli, medico sportivo della Nazionale maschile di volley, potei
assistere alla semifinale tra Italia e Brasile e grazie a una tifosa
coreana arrabbiata per la sconfitta della sua squadra acquistai il
biglietto per la finale femminile tra Brasile e Stati Uniti
d'America. Le partite di volley mi regalarono un po' di serenità. Il
dolore lo provai il sabato mattina, assistendo alla 50 chilometri.
Anche a Londra non avevo dimenticato Alex.
Ero
addolorato per lui, pensando che con lui avevo scritto un libro che
non raccontava vittorie o sconfitte, non parlava di sport agonistico,
ma del piacere di camminare. "Quelli che camminano", il
titolo. Un invito a fare sport partendo dalla base, dal movimento più
semplice: camminare. Il libro aveva vinto il Premio Coni perché
ritenuto il migliore dell'anno dal punto di vista tecnico. Ero
addolorato per me, per i suoi familiari, per la sua fidanzata e i
genitori, per tutti lo staff. Ma non potevo dimenticare ciò che ho
pensato sempre da quando ho scelto di fare il giornalista sportivo:
dentro una maglia non c'è un robot, c'è una persona con i suoi
sentimenti, i suoi problemi, le sue difficoltà, anche i suoi demoni,
forse. E pure un fatto gravissimo come il doping non può cancellare
l'amicizia. Io la chiave non la butto nel cesso, pensai, anche se non
cambiavo idea sul non concedere una seconda opportunità a chi
sperpera il proprio talento sportivo. Così, in valigia avevo messo
una bandiera tricolore, con la scritta Forza Alex.
Potete
immaginare, spero, cosa ho provato, domenica pomeriggio, vedendo di
nuovo Schwazer marciare e il bambino con la maglietta Forza Alex.
Durante il
viaggio in treno verso Roma, una vera e propria toccata e fuga, ho
pensato a lungo all'appuntamento e mi sono detto che Alex sta facendo
quello che più gli piace, ed è giusto lo faccia, malgrado i troppi
moralisti che concedono tutto solo ai calciatori e ad altri sportivi
che non sanno cosa sia la fatica di un marciatore. Ho visto Alex
lavorare duramente in montagna, allenarsi quotidianamente per 35
chilometri, poi pedalare sulla cyclette. E fare sacrifici
incredibili. Per questo trovavo inaccettabile che avesse tentato una
scorciatoia, convinto che il suo motore non avesse bisogno d'aiuti
esterni, pure in uno sport in cui, osservando la facilità con cui
giovani avversari arrivano, vincono e poi spariscono, è facile
essere tentati.
Di spalle, il professor Donati, guru dell'antidoping, e Alex Schwazer |
Mesi fa, in occasione della
presentazione del documentario che Emanuela Audisio ha dedicato a
grande Pietro Mennea, l'avvocato Giuseppe Sorcinelli, fanese,
compagno di vita e di impegni di Giulia Mancini, mi raccontò – e
ne rimasi piacevolmente sorpreso - che Giulia, che è anche manager
di Antonio Conte, aveva ideato un progetto di recupero di Alex che
coinvolgeva il professor Sandro Donati, consulente della Wada,
l'agenzia mondiale contro il doping, il massimo esperto italiano
nella lotta al cancro dello sport. E con lui un esperto della marcia
qual è Mario De Benedictis. Il tutto sotto l'egida di don Ciotti, il
sacerdote in prima linea - con la sua associazione Libera - nella
lotta a tutte le mafie, che accolse la notizia con queste parole,
rilasciate a Famiglia Cristiana: "Sandro Donati che allena Alex
Schwazer è una bella notizia. Speriamo induca altri atleti a uscire
dall'ombra, denunciare, riconquistare la propria dignità e libertà".
Come potete notare, se non vi siete
stancati di questo lungo racconto, è un susseguirsi di emozioni.
Un quartiere
in festa con Alex e per Alex
Ore 16, Via Valtrompia, traversa di Via
Nomentana, a pochi centinaia di metri da Piazza Sempione, quartiere
popolare di Roma, Sacco Pastore – Espero. Sembra una festa paesana,
popolare, nella migliore accezione del termine. In effetti, lo è.
Alex mi saluta, lo abbraccio: “Sei dimagrito!”, mi dice. “Cammino
come te, anche 20 chilometri, quasi tutti i giorni, e vado in
mountain bike...” gli rispondo. Sorride.
Tanti residenti, altrettanti
giornalisti, la troupe di RaiNews24 guidata da Novella Calligaris, la
prima nuotatrice italiana a vincere una medaglia olimpica, la prima a
stabilire un record del mondo. Ed è mia “compaesana”, visto che
anche lei (in verità, più di me) trascorre la vacanze nell'isola di
San Pietro. Presente Ugo Francica Nava, già voce del basket italiano
ed Nba per LA7. Non manca Rai Sport. E chiedo scusa agli altri che
non conosco, sono troppo giovani. Incontro Valerio Piccioni, grande
firma della Gazzetta dello Sport; esperto di doping e antidoping, di
questioni politiche sportive, viene dal basket. Con lui ho seguito
gli Europei '89 a Zagabria. Eravamo insieme a Lisbona nell'unica
trasferta portoghese della Scavolini di Bianchini.
Si inizia con qualche minuto di
ritardo, è saltato l'impianto elettrico e il microfono dello speaker
non funziona.
Alex si prepara. Mi sembra più tirato
del solito, dico a Giulia, abbastanza agitata, mentre Giuseppe è il
solito scrigno di ottimismo; è la sua voce potente a incoraggiare
Alex al primo passaggio. Va molto veloce, forse troppo, ma vuole fare
bene, ed è giusto così.
Scortato dal professor Donati in
mountain bike, preceduto da due ciclisti che gli aprono il passaggio,
marcia in un circuito ricavato nel quartiere: 15 giri da 1.333 metri
ognuno. Dalle case si sente un urlo, la Roma è avanti 3 a 0 a
Palermo. Il traffico è quasi inesistente, ma ogni tanto Alex deve
evitare un veicolo. Una signora in tenuta da atletica, finito il suo
allenamento, prende posizione e incoraggia il marciatore sudtirolese
(se vi siete offesi, correggo subito: altoatesino). Un bassotto
abbaia a ogni passaggio. Lo imitano altri cani al seguito di curiosi
e tifosi. Cresce l'attesa. Giuseppe informa che Alex sta viaggiando a
buon ritmo, sotto 1 ora e 20 di sicuro. Era l'obiettivo? Forse
qualcosa in meno.
Un giornalista interista invoca il
pareggio del Palermo, qualcuno gli risponde bruscamente. Finiscono le
partite, aumenta il traffico. E di conseguenza i problemi.
L'avvocato Sorcinelli diventa anche... vigile urbano, smistando i
veicoli, agevolando le uscite dal parcheggio. Il ritmo sembra calato,
lo sguardo di Alex segnala sofferenza, ma è incoraggiato da adulti e
bambini, mentre spuntano decine e decine di telefonini per
immortalare l'arrivo. Un boato saluta la fine del test. Alex indossa
la maglietta di Libera, che propone la frase, bellissima, di Rosario
Livatino, il giudice bambino ucciso dalla mafia: “Non ci sarà
chiesto se siamo stati credenti ma credibili”.
La maglia dell'associazione Libera che sostiene l'impegno di Alex |
Giulia e Giuseppe lo circondano
d'affetto, mentre sta per partire l'assalto delle tv. Ci domandiamo
tutti quanto abbia impiegato a percorrere 20 chilometri. “1 ora 18
minuti 57 secondi” esclama il professor Donati. Un tempo
incredibile, inferiore a quello fatto registrare dal campione
mondiale Miguel Angel Lopez lo scorso agosto a Pechino.
Alex conclude la fatica, il pubblico applaude |
“E' bello, tutto questo, accaduto in
un quartiere che lo conosce da tempo e gli vuole bene – commenta il
Professore, dopo avere abbracciato l'allievo -. Il suo compito è
stato difficile, perché giro dopo giro c'era più gente e alla fine
delle partite e in curva ci trovavamo davanti le automobili che
obbligavano Alex ad allargare, tanto che alla fine ha marciato 20
chilometri e 90 metri... E' un tempo inferiore a quello di Lopez, ma
non fate paragoni, perché i percorsi sono diversi. E' vero, però,
che qui c'è la solitudine, mentre lo spagnolo ha vinto una gara
vera. Uno svantaggio totale per Alex. Aggiungo che è possibile fare
10 chilometri da soli, come dieci giorni fa a Tagliacozzo; è dura ma
si può. Sui 20 è impresa improba. Non sono a conoscenza di altri
che abbiano vissuto questa esperienza”.
Sandro
Donati, il guru dell'antidoping: “Alex Schwazer, un atleta
ritrovato”
Il significato vero da dare al test?
“Che Schwazer è un atleta
ritrovato”.
Un altro test importante –
sottolinea Novella Calligaris – è l'udienza di lunedì della
seconda sezione del Tribunale nazionale antidoping del Coni che deve
decidere sulla sospensione anticipata della squalifica.
“Possiamo contare solo sulle cose che
facciamo – risponde Donati -. Lasciamo che i giudici facciano il
loro lavoro, noi andiamo avanti per la nostra strada”.
E lui, Alex, cosa pensa? Spera in uno
sconto?
“Io ho buone speranze di andare
forte...”.
Mentre marciava, la seguiva l'intero
quartiere: Sacco Pastore – Espero l'ha adottata.
“Sono qui da mesi, mi sento a casa, è
veramente bello”.
Ci racconta come è andato il test?
“A un certo punto ho rischiato di
fare un frontale, non so se ve ne siete accorti... Sono felice, penso
che questo test concluda bene la prima fase della preparazione...
Oggi (domenica; ndr) ho faticato tanto...”.
Lo dice con un lapsus...
“Non avevamo preparato questa
gara...”. Dice proprio così, gara, come se nella mente e nel cuore
avesse solo questo obiettivo: tornare a marciare, in gara, a
confrontarsi con tutti, a partire dai migliori.
“Si è concluso un ciclo molto lungo,
molto pesante. E' stato un test difficile, ma ho controllato bene
l'impegno, concludendo con un buon tempo. Vedrete che in gara farò
meglio...”.
Ha definito gara il suo test, una
conferma della grande voglia di tornare che anima il suo impegno.
“Sì, ma ci tenevo a fare bene,
davanti a tanta gente, soprattutto a chi vive in questo quartiere e
ha fatto tutto il possibile per aiutarci a organizzare questo secondo
test, dopo l'ottimo diecimila di Tagliacozzo
La difficoltà di un test solitario
s'aggiunge al peso di dovere dimostrare di essere cambiato.
“Ho scelto questa via, non è un
sacrificio”.
Sabato, Carolina Kostner, la sua ex
fidanzata, ha raggiunto un accordo per tornare alle gare. Lei aspetta
una sentenza importante...
“Non ho obiettivi o speranze per
domani. Abbiamo programmato il lavoro come dovessi rientrare il 30 di
aprile. Uno sconto mi consentirebbe di fare qualche gara in più, ma
non voglio pensarci, perché la decisione non è nelle mie mani. Io
posso pensare solo a fare tutto bene, ad allenarmi con il massimo
impegno”.
“Il mio
obiettivo è tornare a gareggiare, andare forte e vincere”
Il fatto che la Fidal, la
Federazione Italiana di Atletica Leggera, abbia spostato il termine
per la qualificazione olimpica a maggio dandole la possibilità di
puntare a Rio è un segnale importante.
“Lo dovreste chiedere alla Fidal. Il
mio obiettivo è tornare in gara e andare forte, gareggiare per
vincere su qualsiasi distanza. Potessi fare le Olimpiadi sarei molto
contento, ma in questo momento mi interessa solo andare forte, non
voglio pensare ad altro”.
Dopo Tagliacozzo, ma anche durante il
test di domenica, qualcuno ha parlato di una marcia non perfetta dal
punto di vista regolamentare. Proponiamo, a tal proposito, la
definizione di marcia secondo quanto prescritto dall'articolo 1 del
regolamento tecnico internazionale, che è facile da consultare anche
da giornalisti che s'avventurano in sentieri altrimenti a loro
sconosciuti.
1.
La marcia è una progressione di passi eseguiti in modo tale che
l’atleta mantenga il contatto con il terreno, senza che si
verifichi una perdita di contatto visibile (all’occhio umano). La
gamba avanzante deve essere tesa (cioè non piegata al ginocchio)
dal momento del primo contatto con il terreno sino alla posizione
verticale.
Questo il pensiero del professor
Donati.
“Intanto, chi ha espresso queste
osservazioni avrebbe fatto meglio ad attendere qualche giorno e
vedere tutta la documentazione sulla prova di Tagliacozzo. Avrebbe
capito che nella marcia ad alte velocità è inevitabile, e non c'è
atleta che ne sia esente, una fase di sospensione, che deve essere
limitata. Questo è il punto. Di più: la regola dice che la fase di
sospensione non deve essere visibile a occhio nudo da parte dei
giudici. A Tagliacozzo, Alex viaggiava a velocità elevatissima.
Nonostante ciò, il suo tempo di sospensione, misurato
elettronicamente, come abbiamo fatto anche qui a Roma, era
assolutamente nella norma di una gara di 20 chilometri. E lui ne
faceva 10, quindi in una marcia più veloce e dinamica. E' evidente
che c'è gente a cui questo progetto rode, gente della quale
individuo facilmente il passato, appartenendo alla categoria dei
“miracolati di Conconi”, lo potete scrivere. La nostra esperienza
è destabilizzante, preoccupa...”.
E' vero però – gli è stato detto
– che una prova di marcia senza i giudici ha meno credibilità.
“Ma siete sicuri che giudici
appassionati non abbiamo avuto la voglia di vedere all'opera Alex?
Sarebbe meglio contare fino a cento prima di parlare”.
Poco fa, il Tribunale nazionale
antidoping del Coni ha respinto la richiesta di riduzione della
squalifica.
Parlo al singolare: non avevo dubbi,
deboli con i forti, forti con i deboli. Calciatori famosi fermati per
doping sono stati squalificati in estate, quando non si gioca.
Qualcuno ha dato tutte le colpe a una bistecca, un altro al farmaco
usato dalla moglie per dimagrire, un altro ancora a uno shampoo...
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